martedì 9 settembre 2014

Fo e il giullare Francesco al teatro antico di Taormina





 


                                        di Mario Guglielmino

                                                
                                              Un grazie a Vito,


                          a Fabrizio e alla compagnia       
                                teatrale     ITINERARIA
                                               
    Dario  Fo subito dopo lo spettacolo  ,  dietro le  quinte             

                                                                              

E' sera ,quasi mezzanotte .Dopo tre ore trascorse ascoltandolo , senza alcuna stanchezza, senza alcun calo di tensione .
Anche la luna e ' nel cielo sopra le nostre teste ,pare aver anche lei voluto assistere ,aprendo occhi e orecchie di lassu' al passaggio di una cometa sotto l'Etna..

E mentre Francesco muore cantando le laudi in un tripudio di estasi e mistica profondamente umana -con Dario quasi disteso sulla sedia di scena ,unico supporto iconografico (oltre al comodino con due calici da bere e lo scenario naturale del taorminese) lungo tutto il percorso teatrale di questo immenso e profondo affresco di Fo sul Santo d'Assisi - alla fine,al canto e nel buio, Ti sembra di percepire gli stessi colori del cielo blu e stellato e gli odori e i suoni della notte ,il vociare dei frati compagni cui il testo rimanda .E con l'attore sprofondi ,improvvisamente e in modo sublime , nella contemplazione e nella comprensione finale di un "mistero buffo".Francesco giullare di Dio.

Tanti artisti ,anche grandi, musicisti, registi, attori ,poeti e prosatori, si sono misurati col genio di Francesco. Ma la grandezza e l'acutezza di Fo appaiono qui insuperate e aprono a prospettive non convenzionali.La figura di Francesco risulta   titanica nell' "infinitamente piccolo " ,analizzata e sviluppata ai massimi livelli da Fo quasi alter Francesco ,accompagnando lo spettatore /attore alla scoperta e al disvelamento .E non solo perche' la grandezza dell'attore Dario si mostri proprio nel comunicare le emozioni , i sentimenti, nel muovere passioni e diletti e nel far percepire con vivida immaginazione persino i colori , le rughe dei vestiti, le tonalita' della musica che sembra provenire direttamente dal '200 ,e i suoni della natura,di una intera valle umbra ,le sensazioni empatiche e sin-cen-estetiche del freddo , del caldo, il brivido della vergogna e la gioia di una scoperta. Ma anche perche' l'ermeneutica di Fo  sul Poverello entra in sentieri non esplorati e persino teologicamente essenziali .
Siamo di fronte a un Nobel, non per caso, dal sorriso istrionico e al pari umile quasi come bambino .Il novantenne Dario apre alle sconfinate varieta' di lettura su altrettanti livelli della sua narrazione .Letteratura, filologia ,esegesi, agiografia ,etica ,antropologia e ricerca di senso della vita sono presenti dialogicamente e in gioco in questa opera e contribuiscono a dare un quadro d'insieme di irrinunciabile godimento e di vera comprensione .

Si parte da uno spunto critico/ polemico. A ridaglie ,dice lo spettatore attore ,richiamato dal buon Dario sin dall'inizio a una funzione brechtiana partecipativa ,di teatro civile. La critica forte e' alle sovrastrutture ( anche qui ci sono) ecclesiali che gia' a pochi anni dalla morte traviarono persino la narrazione e la storia genuina del poverello giullare d'Assisi, massacrando a colpi di censura la prima Vita (di Celano e altre ) e offrendo una storia edulcorata e filtrata secondo i canoni meno sovversivi della fede romana.



Ma subito Dario lascia il terreno della polemica per addentrarsi, con la sua sapiente opera di filologo e studioso di letteratura e lingua antica da palcoscenico, e vero maestro di umanita' ,nei fatti salienti e meravigliosi della vita del Santo. Nessuno riesce a restituire il senso e la pienezza di quel GIULLARE come Dario .


Francesco nasce da una famiglia ,diremmo oggi, della borghesia medio alta.La giovinezza trascorre nell'apparente distrazione ,che e' comunque segno dell'estrema vitalita' del giovane.Questa vitalita' pero' non impedisce a Francesco di partecipare a vere e proprie rivolte civili, durante le quali ,con altri drappelli di giovani (dissipati,rivoluzionari,caciaroni ? ), nell'impresa di difendere il popolo dal signore tiranno d'Assisi ,trae con loro a terra persino le torri civiche con uso di corde, appeso come in altalena .
Particolari animosi ,ma anche voluttuosi , sottaciuti dall'agiografia tradizionale,o noti solo agli addetti ai lavori del dietro le quinte.

Ma la ricerca di Francesco e' comunque sin dall'origine ( in questo non confliggono le visioni di Dario e dell'agiografia ecclesiale) un istinto di ricerca della vita e una domanda di senso.Egli ,scalfito e colpito nel senso profondo ,trova la sua prima risposta nell'incontro con la sofferenza ,con la caducita' e la precarieta' dell'incontro con i lebbrosi.
Egli li abbraccia e li cura ,domanda i soldi per essi curare alla tenera madre.

Percepisce definitivamente il proprio limite e la finitezza.
Ancora le nebbie della giovinezza sono presenti, ma vengono diradate con l'atto deliberato : nell'episodio della spoliazione davanti al vescovo e alla famiglia ,padre mercante adirato ed esterrefatto compreso .

C'e' qui una intuizione folgorazione intellettuale e spirituale in Francesco,oltre che un vissuto empatico  di grande sensibilita' .

Appare sin dall'inizio ,ed e' la traccia di lettura per tutto lo spettacolo, l'idea di Dio e della vita come una immensa contraddizione tra opposti che viene dialetticamente superata attraverso l'unita' forgiata dalla gioia e dal sentimento della fratellanza universale del Creato.E ancor piu' con l'opera maieutica dello scandalo dell'ironia e delle tecniche della non violenza , l'assoluta capacita' sovversiva e scompaginante gli schematismi del sistema ,cogliendone con intelligenza i punti deboli,trovando la debolezza proprio li' dove sembrebbero ben fondate le loro hierocuntiche rocche .
Francesco ha chiaro che , in un'epoca di decadenza e di ricerca e riduzione della vita al piacere dell'effimero e del caduco elevato a valore assoluto, priva di testimoni, l'unico modo per avvicinarsi e avvicinare l'uomo al Vangelo e a Cristo e' attivare in ogni passo lo scandalo della Croce ,prendendo in parola pura il Vangelo ,la follia e l'ironia e l'esser giullare nel Creato .Per attivare il percorso che porta l'uomo dalla distrazione (dal dis impegno) all'impegno e all'orientamento,all'ingaggio col mondo del se' ,degli altri e dell'ALTRO,all'intima gioia del dono cristiano di se'.

Francesco nudo.
Francesco che parla al lupo ululando ,con gli astanti che ascoltano allibiti con l'ausilio del frate traduttore.E alla fine salutano a loro volta il buon lupo ululando.L'analisi della natura umana ,non meno violenta e feroce, anzi molto molto di piu', della natura animale.

L'attualizzazione degli episodi evangelici,il vangelo spiegato e aperto a tutti in un epoca di oscurantismo culturale ( non della cultura, ma della sua diffusione) .La necessita' di far notare ,ad

esempio alle nozze dell'amico, che l'acqua trasformata in vino da Gesu' alle nozze di Cana era proprio l'acqua usata per lavare i piedi e i talloni impolverati degli ospiti,sottolineando l'aspetto ilare della cosa,suscitando l'ilarita' ma anche cogliendo l'essenza tramite il sorriso o le risa .


Francesco ha compreso e comunica la lezione : Gesu' e Dio ,con messer lo fuoco Spirito, toccano il fondo marcio dell'uomo .Non solo da buoni Super man attenzionando i buoni sfortunati oppressi. Di piu' : il messaggio di Dio penetra nelle profondita' scabrose dell'uomo,di ogni uomo ,traendone quel lume di iniziale bonta' e almeno trasformando o orientando quell'irreprimibile , ma redento, marcio .

L'incontro con gli uccelli, quasi apprendistato per imparare a parlare agli uomini.
La ricerca di un luogo e di una vocazione anche li' dove pare non esserci spazio per la vita e il senso di ciascuno. E tramite gli uccelli, tramite l'apparente (o vera ? ) follia ,raggiungere ,per omeopatia e omologhia , il cuore degli uomini induriti.


Bellissimo e gustoso il grande affresco finale del viaggio a Roma con i fervidi contatti con la Curia romana di Innocenzo III e Onorio III per ottenere il " privilegio" della predicazione in lingua volgare e la bolla per la formazione delle piccole comunita' francescane.
L'episodio della predica ai porci ,il ritorno ad Assisi .

La ricerca per   la cura dei malanni ,nelle acque (pubbliche ) termali con l'episodio sul bene comune : le acque ,una volta pubbliche , sottratte al bene comune da un signorotto superbo del luogo, ....privatizzate.

E infine la morte ,con quanto gia' detto all'inizio.
La morte diventa per Dario e Francesco piu' e oltre che sorella ,un Carnevale ! E' in effetti un carnevale, se intendiamo che ,nella prospettiva cristiana,quella e' solo l'apparente inizio dell' assenza , e che c'e',oltre le sembianze, un ritrovo ben vivente , dove ci si incontra con il desiderato grande assente, cui spesso nella vita non si riesce nemmeno a dare un nome .

Francesco quel nome vuole cantarlo,nella gioia persino nel momento che "pare"dell'annichilimento .

Un grande bluff ,una partenza che apre all'ebbrezza dello spirito e al canto delle laudi., al ritrovarsi "dietro le quinte" della vita,e quindi ..nella vera vita o nella vita vera. Come volete.

Dario propone uno spettacolo compiuto e intimamente unitario , eppure pare che dal palco scelga continuamente ,man mano che va avanti, un testo diverso ,gramlotico , composto di quadri scelti con la cura e l' "impronta" del vasaio ,anche ascoltando il respiro del pubblico attore .

Un riferimento delicato e' sempre alla compagna di sempre,l'indimenticabile adorata Franca ,cui e' andato il suo primo pensiero.
Subito dopo , il cenno al teatro incastonato e incantato (luna piena compresa) in un panorama vivo ancora da due millenni ,situato in mezzo alla storia dell'uomo nel Mediterraneo di Ulisse ,di Omero, e oggi possiamo dire , di Francesco e di Dario .

Sceglie di donare 200 copie delle sue litografie al sindaco di Messina , Renato Accorinti, per l'istituzione di una biblioteca per bambini.



Taormina 7 settembre 2014



 
                                                                                                                                                                             











 





E mentre Francesco muore cantando le laudi in un tripudio di estasi e mistica profondamente umana -con Dario quasi disteso sulla sedia di scena ,unico supporto iconografico (oltre al comodino con due calici da bere e lo scenario naturale del taorminese) lungo tutto il percorso teatrale di questo immenso e profondo affresco di Fo sul Santo d'Assisi - alla fine,al canto e nel buio, Ti sembra di percepire gli stessi colori del cielo blu e stellato e gli odori e i suoni della notte ,il vociare dei frati compagni cui il testo rimanda .E con l'attore sprofondi ,improvvisamente e in modo sublime , nella contemplazione e nella comprensione finale di un "mistero buffo".Francesco giullare di Dio.



Tanti artisti ,anche grandi, musicisti, registi, attori ,poeti e prosatori, si sono misurati col genio di Francesco. Ma la grandezza e l'acutezza di Fo appaiono qui insuperate e aprono a prospettive non convenzionali.La figura di Francesco risulta qui titanica nell' "infinitamente piccolo " ,analizzata e sviluppata ai massimi livelli da Fo quasi alter Francesco ,accompagnando lo spettatore /attore alla scoperta e al disvelamento .E non solo perche' la grandezza dell'attore Dario si mostri proprio nel comunicare le emozioni , i sentimenti, nel muovere passioni e diletti e nel far percepire con vivida immaginazione persino i colori , le rughe dei vestiti, le tonalita' della musica che sembra provenire direttamente dal '200 ,e i suoni della natura,di una intera valle umbra ,le sensazioni empatiche e cenestetiche del freddo , del caldo, il brivido della vergogna e la gioia di una scoperta. Ma anche perche' l'ermeneutica di Fo' sul Poverello entra in sentieri non esplorati e persino teologicamente essenziali .



Siamo di fronte a un Nobel, non per caso, dal sorriso istrionico e al pari umile quasi come bambino Il novantenne Dario apre alle sconfinate varieta' di lettura su altrettanti livelli della sua narrazione .Letteratura, filologia ,esegesi, agiografia ,etica ,antropologia e ricerca di senso della vita sono presenti dialogicamente e in gioco in questa opera e contribuiscono a dare un quadro d'insieme di irrinunciabile godimento e di vera comprensione .



Si parte da uno spunto critico/ polemico. A ridaglie ,dice lo spettatore attore ,richiamato dal buon Dario sin dall'inizio a una funzione brechtiana partecipativa ,di teatro civile. La critica forte e' alle sovrastrutture ( anche qui ci sono) ecclesiali che gia' a pochi anni dalla morte traviarono persino la narrazione e la storia genuina del poverello giullare d'Assisi, massacrando a colpi di

censura la prima Vita (di Celano e altre ) e offrendo una storia edulcorata e filtrata secondo i canoni meno sovversivi della fede romana.

Ma subito Dario lascia il terreno della polemica per addentrarsi, con la sua sapiente opera di filologo e studioso di letteratura e lingua antica da palcoscenico, e vero maestro di umanita' ,nei fatti salienti e meravigliosi della vita del Santo. Nessuno riesce a restituire il senso e la pienezza di quel GIULLARE come Dario .



Francesco nasce da una famiglia ,diremmo oggi, della borghesia medio alta.La giovinezza trascorre nell'apparente distrazione ,che e' comunque segno dell'estrema vitalita' del giovane.Questa vitalita' pero' non impedisce a Francesco di partecipare a vere e proprie rivolte civili, durante le quali ,con altri drappelli di giovani (dissipati,rivoluzionari,caciaroni ? ), nell'impresa di difendere il popolo dal signore tiranno d'Assisi ,trae con loro a terra persino le torri civiche con uso di corde, appeso come in altalena .

Particolari animosi ,ma anche voluttuosi , sottaciuti dall'agiografia tradizionale,o noti solo agli addetti ai lavori del dietro le quinte.

Ma la ricerca di Francesco e' comunque sin dall'origine ( in questo non confliggono le visioni di Dario e dell'agiografia ecclesiale) un istinto di ricerca della vita e una domanda di senso.Egli ,scalfito e colpito nel senso profondo ,trova la sua prima risposta nell'incontro con la sofferenza ,con la caducita' e la precarieta' dell'incontro con i lebbrosi.

Egli li abbraccia e li cura ,domanda i soldi per essi curare alla tenera madre.

Percepisce definitivamente il proprio limite e la finitezza.

Ancora le nebbie della giovinezza sono presenti, ma vengono diradate con l'atto deliberato : nell'episodio della spoliazione davanti al vescovo e alla famiglia ,padre mercante adirato ed esterrefatto compreso .

C'e' qui una intuizione folgorazione intellettuale e spirituale in Francesco,oltre che un vissuto empatico ,diremmo oggi, di grande sensibilita' .



Appare sin dall'inizio ,ed e' la traccia di lettura per tutto lo spettacolo, l'idea di Dio e della vita come una immensa contraddizione tra opposti che viene dialetticamente superata attraverso l'unita' forgiata dalla gioia e dal sentimento della fratellanza universale del Creato.E ancor piu' con l'opera maieutica dello scandalo dell'ironia e delle tecniche della non violenza , l'assoluta capacita' sovversiva e scompaginante gli schematismi del sistema ,cogliendone con intelligenza i punti deboli,trovando la debolezza proprio li' dove sembrebbero ben fondate le loro hierocuntiche rocche .

Francesco ha chiaro che , in un'epoca di decadenza e di ricerca e riduzione della vita al piacere dell'effimero e del caduco elevato a valore assoluto, priva di testimoni, l'unico modo per avvicinarsi e avvicinare l'uomo al Vangelo e a Cristo e' attivare in ogni passo lo scandalo della Croce ,prendendo in parola pura il Vangelo ,la follia e l'ironia e l'esser giullare nel Creato .Per attivare il percorso che porta l'uomo dalla distrazione (dal dis impegno) all'impegno e all'orientamento,all'ingaggio col mondo del se' ,degli altri e dell'ALTRO,all'intima gioia del dono cristiano di se'.



Francesco nudo.

Francesco che parla al lupo ululando ,con gli astanti che ascoltano allibiti con l'ausilio del frate traduttore.E alla fine salutano a loro volta il buon lupo ululando.L'analisi della natura umana ,non meno violenta e feroce, anzi molto molto di piu', della natura animale.

L'attualizzazione degli episodi evangelici,il vangelo spiegato e aperto a tutti in un epoca di oscurantismo culturale ( non della cultura, ma della sua diffusione) .La necessita' di far notare ,ad

esempio alle nozze dell'amico, che l'acqua trasformata in vino da Gesu' alle nozze di Cana era proprio l'acqua usata per lavare i piedi e i talloni impolverati degli ospiti,sottolineando l'aspetto ilare della cosa,suscitando l'ilarita' ma anche cogliendo l'essenza tramite il sorriso o le risa .



Francesco ha compreso e comunica la lezione : Gesu' e Dio ,con messer lo fuoco Spirito, toccano il fondo marcio dell'uomo .Non solo da buoni Super man attenzionando i buoni sfortunati oppressi. Di piu' : il messaggio di Dio penetra nelle profondita' scabrose dell'uomo,di ogni uomo ,traendone quel lume di iniziale bonta' e almeno trasformando o orientando quell'irreprimibile , ma redento, marcio .



L'incontro con gli uccelli, quasi apprendistato per imparare a parlare agli uomini.

La ricerca di un luogo e di una vocazione anche li' dove pare non esserci spazio per la vita e il senso di ciascuno. E tramite gli uccelli, tramite l'apparente (o vera ? ) follia ,raggiungere ,per omeopatia e omologhia , il cuore degli uomini induriti.



Bellissimo e gustoso il grande affresco finale del viaggio a Roma con i fervidi contatti con la Curia romana di Innocenzo III e Onorio III per ottenere il " privilegio" della predicazione in lingua volgare e la bolla per la formazione delle piccole comunita' francescane.

L'episodio della predica ai porci ,il ritorno ad Assisi .

La ricerca di la cura dei malanni nelle acque (pubbliche ) termali con l'episodio sul bene comune : le acque ,una volta pubbliche , sottratte al bene comune da un signorotto superbo del luogo, ....privatizzate.



E infine la morte ,con quanto gia' detto all'inizio.

La morte diventa per Dario e Francesco piu' e oltre che sorella ,un Carnevale ! E' in effetti un carnevale, se intendiamo che ,nella prospettiva cristiana,quella e' solo l'apparente inizio dell' assenza , e che c'e',oltre le sembianze, un ritrovo ben vivente , dove ci si incontra con il desiderato grande assente, cui spesso nella vita non si riesce nemmeno a dare un nome .

Francesco quel nome vuole cantarlo,nella gioia persino nel momento che "pare"dell'annichilimento .

Un grande bluff ,una partenza che apre all'ebbrezza dello spirito e al canto delle laudi., al ritrovarsi "dietro le quinte" della vita,e quindi ..nella vera vita o nella vita vera. Come volete.



Dario propone uno spettacolo compiuto e intimamente unitario , eppure pare che dal palco scelga continuamente ,man mano che va avanti, un testo diverso ,gramlotico , composto di quadri scelti con la cura e l' "impronta" del vasaio ,anche ascoltando il respiro del pubblico attore .



Un riferimento delicato e' sempre alla compagna di sempre,l'indimenticabile adorata Franca ,cui e' andato il suo primo pensiero.

Subito dopo , il cenno al teatro incastonato e incantato (luna piena compresa) in un panorama vivo ancora da due millenni ,situato in mezzo alla storia dell'uomo nel Mediterraneo di Ulisse ,di Omero, e oggi possiamo dire , di Francesco e di Dario .

Sceglie di donare 200 copie delle sue litografie al sindaco di Messina , Renato Accorinti, per l'istituzione di una biblioteca per bambini.



Taormina 7 settembre 2014



 

 

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