Antonio Carroccio
TESTO
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Intorno al “caso Salusti”, c’è stato un coro quasi unanime di solidarietà, una generale levata di scudi a difesa della «libertà di stampa» che sarebbe stata messa a grave rischio dalla condanna del direttore del “Giornale”, allora direttore di “Libero”, per un semplice «reato di opinione», punito col carcere solo negli Stati totalitari.
Una solidarietà trasversale, espressa da uomini politici, rappresentanti delle istituzioni, direttori di giornali e giornalisti di stampa e tv: l’elenco è lunghissimo, va da Franceschini (Pd) a Maroni, da Alfano e Schifani, da Perina (Fli) a Santanché, da Di Pietro (Idv) a Bonanni (Cisl), da De Bortoli a Ezio Mauro a Mimum a Mentana a Floris e chi ne ha più ne metta. Al coro non è mancata nemmeno la voce della Fnsi, che ha consigliato ai giornali, per protesta (!?), di lasciare «spazi bianchi in prima pagina».
Proviamo a discutere due o tre punti della questione.
1) Innanzitutto, si è davvero trattato di un «reato di opinione»? Anche se, talvolta, il confine tra opinione e diffamazione è labile, in questo caso la risposta è “no”. I giudici della Corte costituzionale (insieme ad alcuni commentatori più avveduti) hanno già chiarito l’equivoco: il reato c’è stato, eccome, e non era «di opinione», bensì di diffusione di notizie palesemente false, che ledono la dignità personale. E tale era la «notizia» del presunto ordine di «aborto coattivo» da parte del giudice Cocilovo alla tredicenne torinese. No, l’aborto fu volontario, con tanto di firma della minorenne e della sua mamma; il magistrato ne ha solo garantito la liceità giuridica, in base alla legge 194/78, denominata per l’appunto Ivg (Interruzione volontaria della gravidanza).
E allora, perché confondere la liberta di stampa con la libertà di diffamazione? Non si rischia l’ammucchiata di centro-destra-sinistra (compreso il neodirettore vendoliano Telese), nella gaudiosa “Casa delle libertà”, in cui ognuno dice e fa quel cavolo che gli pare, come recitava una volta Corrado Guzzanti nei suoi geniali sketch satirici in tv?
2) La Corte di Cassazione non ha condannato Sallusti, ma ha solo confermato la sua condanna emessa dal tribunale di secondo grado, non ravvisando vizi di forma. E allora perché prendersela con la Corte? Illiberali i giudici? No, illiberale la legge, che punisce col carcere la diffamazione, e parliamo del Codice Rocco, approvato negli anni trenta, tuttora in vigore, e, sul punto, rimasto immutato. Semplicemente: i giudici hanno applicato una legge del ventennio, che nessuna maggioranza politica, né democristiana né craxiana, né prodiana, ha mai modificato. E nemmeno quella berlusconiana, fatta, del resto, in gran parte di ex- e post-fascisti, nostalgici del Duce e del saluto romano. Il “caso Sallusti” sembra quasi una nemesi storica.
E poi, la legge si può modificare, certo, ma menzogna e diffamazione vanno comunque punite (con ammenda, ritrattazione e, se necessario, detenzione, come suggerisce Travaglio sul “Fatto quotidiano” di oggi). Altrimenti, ognuno è libero si screditare chiunque a mezzo stampa (sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria, come sembra proporre l’attuale Guardasigilli, è cosa ridicola, per chi ha i soldi per pagarla).
Si dice: Sallusti condannato per un articolo scritto da un altro? «Una porcata». Un direttore di giornale dovrebbe controllare tutto quello che scrivono i suoi redattori? Impossibile. Ma cerchiamo di puntualizzare. Gli articoli incriminati sono almeno due, quello anonimo di Dreyfus e quello di Monticone. Con tanto di titolazione in prima pagina. Un direttore responsabile non controlla nemmeno la prima pagina del suo giornale? Dopo i politici, avremmo anche un direttore a sua insaputa, in tutt’altre faccende affaccendato, invece di dirigere il giornale. Suvvia, scherziamo?
D’altronde, Sallusti difende tuttora la scelta di aver pubblicato quegli articoli, di cui non ha mai ritenuto di rettificare la “notizia falsa”, rivendicando la libertà di opinione. Ma qui si tratta di fatti, non di opinioni e interpretazioni. I fatti, accertati dai giudici, gli danno torto? Ebbene, peggio per i fatti. Perché tanta caparbietà? Primo, perché, malgrado la retorica delle dimissioni e dell’addio alla redazione, egli sa che resterà al “Giornale” di famiglia; e poi sa, lo sappiamo tutti, che presto a suo pro verrà imposto in parlamento un ddl ad personam.
3) Infine, qual è il reale motivo dell’attacco del 2007 di “Libero” al giudice torinese? Ce lo spiega il legale di Sallusti: «Nel mirino non c’era Cocilovo ma l’intero “sistema” che consente l’aborto» (“il Giornale”, 27/09/2012, p. 2). Dunque, la diffamazione di una persona era strumentale ad una lotta politica condotta senza scrupoli? Senza temere di incorrere in reati? Si screditava il giudice per screditare la legge 194/78. Nel 2007 c’era il governo Prodi bis, si discuteva di Pacs e Dico, di procreazione assistita, fine vita e aborto: su questi temi, su cui si mobilitò la Chiesa di Ruini, Prodi cadde. Alle elezioni dell’anno dopo, guarda caso, stravinse Berlusconi.
Oggi siamo alle porte di nuove elezioni. Vedremo quanto gioverà elettoralmente alla formazione politica di mister B. questa nuova campagna antiabortista e filoclericale del “Giornale” e di “Libero”. Questo lacrimoso e finto vittimismo di Sallusti perseguitato dalle “toghe rosse” (ma non erano “nere”, poiché applicavano una legge del ventennio?) e da una “magistratura politicizzata e giustizialista” (tale solo se e quando compie indagini e emette sentenze sfavorevoli a B.& Company?).
«Siamo [siete, n.d.r.] tutti Sallusti», ha scritto l’intera redazione del “Giornale”.
Non c’era bisogno di dirlo. Lo sapevamo.
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