martedì 5 marzo 2013

Il voto nelle parole profetiche di Paolo Borsellino

Riceviamo e  pubblichiamo  volentieri

Il voto nelle parole profetiche di Paolo Borsellino
“Il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale”

di Franco Contorno 

Moderato e credente quale era, Paolo Borsellino teneva nella più alta considerazione il
senso dello Stato e della Giustizia, il rispetto per le Istituzioni, il primato della
Sovranità popolare in un Paese democratico. Il senso dello Stato espresso nella lotta
alla mafia, al potere delle istituzioni deviate, alla corruzione, lo portarono alla morte;
ma le sue parole hanno un valore ancora più profondo se lette in senso universale.


Benché sia convinto che il voto nazionale non sia stato espresso con pieno senso di

responsabilità, se da una parte ha giocato una forte spinta per il mantenimento dei

vecchi schemi e dall’altra una buona dose di manipolazione del dissenso popolare,

l’affermazione citata da Borsellino risulta abbastanza chiara alla luce dell’esito

elettorale ed è proprio vero che in una democrazia, con tutte le probabili distorsioni, il

“cambiamento” sia possibile, senza dovere mai ricorrere a forme di violenza oppure

necessariamente a tensioni di piazza o a manifestazioni esacerbate, pur se talvolta

legittime.

Ciò che è emerso dalle urne evidenzia che la vera scommessa sta nel sapere esercitare

nel miglior dei modi questo “diritto di cittadinanza” costituzionalmente garantito,

guardando sempre a una prospettiva generale per dare e raccogliere senso alla

manifestazione di voto.

In genere nella vita comune, ma specialmente in politica, bisogna accogliere il

cambiamento come una grande opportunità che si presenta per costruire qualcosa di

diverso e di nuovo, a prescindere dalle criticità che si porta dietro. L’essere o il

ritenersi artefici di questo processo, o viceversa rifiutarlo, oppure sentirsi esclusi per

non averlo assecondato o per non poterne trarre beneficio, importa relativamente poco,

in quanto ogni mutamento –se autentico- ha radici più profonde di quel che appare e i

semi gettati nel tempo non sempre appartengono agli stessi protagonisti del momento.

La cosa assolutamente importante è che questo cambiamento comunque avvenga, che

ci sia cioè un momento in cui esploda una novità, in quanto soltanto così si può aprire

a nuove prospettive, provocare un confronto sulle cose reali, registrare un dinamismo

culturale, sprigionare energie sopite, recuperare fiducia nel futuro.

E’ ciò che pare stia avvenendo; però, non è del tutto scontato che di per se il

cambiamento porti soltanto benefici e corrisponda alle reali esigenze o aspettative di

tutti o possa rappresentare il meglio possibile, tant’è che si vanno evidenziando

sempre più false interlocuzioni e atti di astuzia.

Se non indirizzato al bene comune, il cambiamento è un’illusione e può portare alla

società maggiori lacerazioni e contraddizioni di prima; sta dunque alla capacità di

tutti e di ciascuno saperlo condurre nella direzione giusta, pensando in positivo e non

assumendo o mantenendo atteggiamenti pregiudiziali e disfattisti.

La composizione parlamentare uscita dalle urne è contraddittoria e squilibrata; sconta

pesi non indifferenti: leggi inique e riforme inattuate, congiunture di destra, di

sinistra e trasversali contro il buon governo, una legge elettorale che non è soltanto un

“porcellum”, ma un perfido strumento antidemocratico voluto e utilizzato

esclusivamente per esercitare e conservare il potere dall’alto; una conflittualità

permanente fra Organi dello Stato, disattenzioni interessate ai massimi livelli

istituzionali; verità nascoste e informazioni distorte, recessione economica caricata sui

più poveri, sperperi pubblici e privati di ingente portata, malcostume e corruzione a

tutti i livelli, esclusione di massa dal mondo produttivo, caduta di stile e caduta di

tutti i principi di uguaglianza, di solidarietà e di giustizia.

Da questa realtà, più drammatica che grave, il bene che si può cogliere è che il modello

politico fondato sulle vecchie logiche dei partiti e su schemi tradizionali è entrato in

crisi, ciò che preoccupa è invece che un nuovo modello politico non è ancora emerso e

non certo può essere l’autoreferenzialità a determinarne le condizioni e nemmeno le

dichiarazioni d’intento se non supportate da gesti coerenti.

Riconoscere che i soggetti politici identificati dal voto elettorale rappresentano

spaccati differenti di società, sensibilità e motivazioni diverse quando non configgenti,

porta a comprendere che difficilmente si possono conciliare sullo stesso programma di

governo posizioni così distanti, se non su basi compromissorie. D’altronde, se da un

lato bisogna scongiurare che avvengano ammucchiate, interlocuzioni strumentali,

inciuci, abbracci mortali che porterebbero alla fine di questo processo appena iniziato,

dall’altro nessuna componente parlamentare può ritenersi innovatrice e costruttrice di

una nuova realtà, avanzando la presunzione di potere rappresentare tutte le istanze

della società e sbandierando di essere da sola in grado di governare il Paese.

Il responso elettorale, non assegnando un risultato preminente a nessuna delle

maggiori realtà votate: Movimento 5 Stelle, PD, PDL, Lista Civica, ha sancito la

relatività di ciascun componente di queste realtà ed è pura illusione e velleità da parte

di chicchessia ritenere che questo dato, ricorrendo pretestuosamente alle urne, possa

essere facilmente capovolto a proprio favore. Fra l’altro, il responso non consente che

possano definirsi alleanze omogenee e tentare di qualificarle in questo modo appare

una evidente forzatura.

Accettare questa realtà come punto di partenza per qualsiasi ragionamento è un atto

di lealtà all’elettorato, di buon senso e di lungimiranza: vanno escluse pertanto da

qualsiasi confronto idee predeterminate, investiture precostituite, strategie

escludenti, manipolazione del potere, suggestioni demagogiche.

La difficoltà maggiore che si registra in questo dopo elezioni nazionali non è

l’ingovernabilità del Paese motivata con il pretesto che mancano i numeri per

determinare una maggioranza al Senato, come da più parti -in buona o in cattiva fedesi

vuol far credere; è inconfutabile infatti che con una legge elettorale realmente

“democratica” non si avrebbero i numeri per governare in nessuna delle due Camere

del Parlamento. La difficoltà della governabilità dipende quindi da un fatto politico e

non numerico e ciò comporta di sapere “per che cosa” debba essere formato il nuovo

governo, stabilire “fra quali soggetti” viene dopo ed è consequenziale in base alla scelta

che si ritiene centrale per la legislatura.

Sulla base di eventuali patti di sopravvivenza il problema sarebbe facilmente

superabile, ma resterebbero comunque sempre in agguato le ambiguità e i tentativi

malsani di veicolare col nuovo il vecchio: quello cioè che fa parte dei vecchi apparati e

non è stato rimosso e quello che il “nuovo” si trascina dal vecchio in termini di cultura,

di costume, di prassi: desideri di rivalsa, arroganza, presunzioni da alcune parti,

comportamenti accentratori e autoreferenziali, da altre; sulla base di una prospettiva

politica invece le diverse soluzioni indirizzate a fare alcune urgenti riforme per tornare

alle urne; o tentare un governo per dare stabilità al Paese, così come altre,

giustamente non soddisfano e trovano resistenze incrociate.

Che sia necessario accettare il “responso elettorale” nella sua più cruda realtà, ci è

chiaro rileggendo il pensiero di Paolo Borsellino quando afferma che

“ il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano e che quella

matita è più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un

coltello”.

L’incisività di questo pensiero è appropriata per dire che i soggetti politici chiamati al

compito di governo sono stati ben indicati dalle urne, e che, piaccia o meno, tutti

debbono fare i conti con le altre realtà e il dovere di ciascuna di esse è quello di

pensare esclusivamente al Paese prima ancora che ai giochi tattici, strategici o di

posizionamento.

L’indicazione di cambiamento uscita dalle urne suggerisce che bisogna più ricercare le

opportunità che esso offre e pensare a salvare un processo che ha bisogno di maturare

per affermarsi, per cui diventa prioritario, prima ancora che tentare sperimentazioni

di governo, che alla fine si riveleranno improduttive come è stato più volte

sperimentato, sapere legare fra loro le questioni fondanti la vita futura del Paese e

lavorare su queste premesse per definire le regole che debbono portare a una nuova

Costituente Repubblicana.

La sfida del prossimo futuro politico non dipende dalle formule che si riuscirà a

trovare, ma dal cambiamento delle coscienze e dalle reali volontà delle diverse realtà

politiche a confronto; tentare di costruire uno scenario futuro migliore non deve

indurre a inclusioni o esclusioni predeterminate, a contrapposizioni, a lacerazioni, ma

deve mirare al superamento delle negatività esistenti portando tutti a una

ragionevolezza di comportamento nell’espletare un ruolo istituzionale assegnato dal

consenso e alla consapevolezza che in una società più giusta e più equa si starà tutti

certamente un po’ meglio.

Per uscire da queste strettoie, bisogna prefigurare un nuovo modello politico futuro

non statico ma dinamico ed evolutivo, non chiuso ma idoneo ad accogliere la pluralità

delle idee e della cultura, stabilendo alla base codici comportamentali che non debbano

però dipendere tanto o solo da norme codificate e impositive, ma da un rigore morale

interiore come scelta di libertà e di verità; inculcare il contrario significa negare

fiducia all’uomo, alla sua intelligenza, alla sua dignità.

La nostra società, già abbastanza umiliata da una lunga gestione privatistica della

politica e dei partiti e fortemente violata nella sua identità di popolo per le grandi

violenze e diseguaglianze a cui è stato sottoposto per il peggioramento, non tanto e non

solo economico, della vita del Paese rispetto al passato, non può più permettersi di

rendere inefficace un accadimento innovativo come questo. Occorre buon senso e

apertura d’animo, che deve indurre tutti i protagonisti diretti di questa competizione

elettorale a fare un passo indietro.

E’ un atto di coraggio che chiede l’Italia a Bersani, a Grillo, a Berlusconi, a Monti. Non

chiede loro di uscire dalla scena politica, se non lo ritengono o altri fattori non lo

impongono, ma di lasciare spazi decisionali ad altri, accompagnando con intelligenza

questo processo e consentendo alla Storia di prender nota per la grandezza del loro

gesto.

Lo chiedono le vostre basi elettorali, le tante donne e i tanti giovani che hanno

ricercato il consenso sulla voglia di cambiamento e non sulle stanche abitudini di

lasciare le cose come stanno, sul bisogno di un riscatto generazionale, sulla volontà di

costruire sulle idee e sui programmi e non sulle logiche di partito o sulle direttive dei

leader. Molti di essi hanno ottenuto fiducia e simpatia utilizzando mezzi semplici,

poggiandosi sul passaparola, prescindendo dai mezzi tradizionali e creando una

efficace connessione tra la piazza e gli strumenti web, ma hanno bisogno di essere

sostenuti per non mancare alla personale responsabilità rispetto a un confronto diretto

e concreto con i problemi della vita e del quotidiano, con i problemi della giustizia e

della legalità, della solidarietà sociale, dell’ambiente e del territorio, del lavoro.

Lo chiedono, con forte interpello, le generazioni future che abbiamo reso povere prima

ancora del nascere.

Ben sappiamo che il percorso di rinnovamento della politica e di risanamento della

società è irto di insidie e sconta il prezzo delle passioni umane, che non tutto ciò che è

emerso dall’esito elettorale sia frutto di discernimento e di maturazione, che non tutti

coloro che si affacciano per la prima volta in Parlamento siano motivati da scelte

consapevoli e gratuite o rappresentino il meglio delle potenzialità e delle competenze

esistenti nella società.

Ma la novità di questa legislatura sta proprio nell’immissione nello scenario politico

di energie giovani e nuove sollecitate da forti idealità che appartengono al sentire

comune; è per questo che essi meritano investimenti di fiducia e, se non altro, perché

rappresentano una realtà che bisogna imparare a conoscere in quanto avrà un ruolo

centrale nella nostra società.

La spinta dal basso nata dal forte bisogno di partecipazione e di democrazia diretta

che ha dato vita a questo cambiamento, se opportunamente valorizzata in questa

legislatura, pur breve che possa essere, potrà arricchire la società di un “umanesimo

nuovo” capace di aprire spazi inimmaginabili di dinamismo e di protagonismo popolare

e segnare la strada per una nuova Costituente.

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