Riceviamo e pubblichiamo volentieri
Il voto nelle parole profetiche di Paolo Borsellino
“Il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale”
di Franco Contorno
Moderato e credente quale era, Paolo Borsellino teneva nella più alta considerazione il
senso dello Stato e della Giustizia, il rispetto per le Istituzioni, il primato della
Sovranità popolare in un Paese democratico. Il senso dello Stato espresso nella lotta
alla mafia, al potere delle istituzioni deviate, alla corruzione, lo portarono alla morte;
ma le sue parole hanno un valore ancora più profondo se lette in senso universale.
Benché sia convinto che il voto nazionale non sia stato espresso con pieno senso di
responsabilità, se da una parte ha giocato una forte spinta per il mantenimento dei
vecchi schemi e dall’altra una buona dose di manipolazione del dissenso popolare,
l’affermazione citata da Borsellino risulta abbastanza chiara alla luce dell’esito
elettorale ed è proprio vero che in una democrazia, con tutte le probabili distorsioni, il
“cambiamento” sia possibile, senza dovere mai ricorrere a forme di violenza oppure
necessariamente a tensioni di piazza o a manifestazioni esacerbate, pur se talvolta
legittime.
Ciò che è emerso dalle urne evidenzia che la vera scommessa sta nel sapere esercitare
nel miglior dei modi questo “diritto di cittadinanza” costituzionalmente garantito,
guardando sempre a una prospettiva generale per dare e raccogliere senso alla
manifestazione di voto.
In genere nella vita comune, ma specialmente in politica, bisogna accogliere il
cambiamento come una grande opportunità che si presenta per costruire qualcosa di
diverso e di nuovo, a prescindere dalle criticità che si porta dietro. L’essere o il
ritenersi artefici di questo processo, o viceversa rifiutarlo, oppure sentirsi esclusi per
non averlo assecondato o per non poterne trarre beneficio, importa relativamente poco,
in quanto ogni mutamento –se autentico- ha radici più profonde di quel che appare e i
semi gettati nel tempo non sempre appartengono agli stessi protagonisti del momento.
La cosa assolutamente importante è che questo cambiamento comunque avvenga, che
ci sia cioè un momento in cui esploda una novità, in quanto soltanto così si può aprire
a nuove prospettive, provocare un confronto sulle cose reali, registrare un dinamismo
culturale, sprigionare energie sopite, recuperare fiducia nel futuro.
E’ ciò che pare stia avvenendo; però, non è del tutto scontato che di per se il
cambiamento porti soltanto benefici e corrisponda alle reali esigenze o aspettative di
tutti o possa rappresentare il meglio possibile, tant’è che si vanno evidenziando
sempre più false interlocuzioni e atti di astuzia.
Se non indirizzato al bene comune, il cambiamento è un’illusione e può portare alla
società maggiori lacerazioni e contraddizioni di prima; sta dunque alla capacità di
tutti e di ciascuno saperlo condurre nella direzione giusta, pensando in positivo e non
assumendo o mantenendo atteggiamenti pregiudiziali e disfattisti.
La composizione parlamentare uscita dalle urne è contraddittoria e squilibrata; sconta
pesi non indifferenti: leggi inique e riforme inattuate, congiunture di destra, di
sinistra e trasversali contro il buon governo, una legge elettorale che non è soltanto un
“porcellum”, ma un perfido strumento antidemocratico voluto e utilizzato
esclusivamente per esercitare e conservare il potere dall’alto; una conflittualità
permanente fra Organi dello Stato, disattenzioni interessate ai massimi livelli
istituzionali; verità nascoste e informazioni distorte, recessione economica caricata sui
più poveri, sperperi pubblici e privati di ingente portata, malcostume e corruzione a
tutti i livelli, esclusione di massa dal mondo produttivo, caduta di stile e caduta di
tutti i principi di uguaglianza, di solidarietà e di giustizia.
Da questa realtà, più drammatica che grave, il bene che si può cogliere è che il modello
politico fondato sulle vecchie logiche dei partiti e su schemi tradizionali è entrato in
crisi, ciò che preoccupa è invece che un nuovo modello politico non è ancora emerso e
non certo può essere l’autoreferenzialità a determinarne le condizioni e nemmeno le
dichiarazioni d’intento se non supportate da gesti coerenti.
Riconoscere che i soggetti politici identificati dal voto elettorale rappresentano
spaccati differenti di società, sensibilità e motivazioni diverse quando non configgenti,
porta a comprendere che difficilmente si possono conciliare sullo stesso programma di
governo posizioni così distanti, se non su basi compromissorie. D’altronde, se da un
lato bisogna scongiurare che avvengano ammucchiate, interlocuzioni strumentali,
inciuci, abbracci mortali che porterebbero alla fine di questo processo appena iniziato,
dall’altro nessuna componente parlamentare può ritenersi innovatrice e costruttrice di
una nuova realtà, avanzando la presunzione di potere rappresentare tutte le istanze
della società e sbandierando di essere da sola in grado di governare il Paese.
Il responso elettorale, non assegnando un risultato preminente a nessuna delle
maggiori realtà votate: Movimento 5 Stelle, PD, PDL, Lista Civica, ha sancito la
relatività di ciascun componente di queste realtà ed è pura illusione e velleità da parte
di chicchessia ritenere che questo dato, ricorrendo pretestuosamente alle urne, possa
essere facilmente capovolto a proprio favore. Fra l’altro, il responso non consente che
possano definirsi alleanze omogenee e tentare di qualificarle in questo modo appare
una evidente forzatura.
Accettare questa realtà come punto di partenza per qualsiasi ragionamento è un atto
di lealtà all’elettorato, di buon senso e di lungimiranza: vanno escluse pertanto da
qualsiasi confronto idee predeterminate, investiture precostituite, strategie
escludenti, manipolazione del potere, suggestioni demagogiche.
La difficoltà maggiore che si registra in questo dopo elezioni nazionali non è
l’ingovernabilità del Paese motivata con il pretesto che mancano i numeri per
determinare una maggioranza al Senato, come da più parti -in buona o in cattiva fedesi
vuol far credere; è inconfutabile infatti che con una legge elettorale realmente
“democratica” non si avrebbero i numeri per governare in nessuna delle due Camere
del Parlamento. La difficoltà della governabilità dipende quindi da un fatto politico e
non numerico e ciò comporta di sapere “per che cosa” debba essere formato il nuovo
governo, stabilire “fra quali soggetti” viene dopo ed è consequenziale in base alla scelta
che si ritiene centrale per la legislatura.
Sulla base di eventuali patti di sopravvivenza il problema sarebbe facilmente
superabile, ma resterebbero comunque sempre in agguato le ambiguità e i tentativi
malsani di veicolare col nuovo il vecchio: quello cioè che fa parte dei vecchi apparati e
non è stato rimosso e quello che il “nuovo” si trascina dal vecchio in termini di cultura,
di costume, di prassi: desideri di rivalsa, arroganza, presunzioni da alcune parti,
comportamenti accentratori e autoreferenziali, da altre; sulla base di una prospettiva
politica invece le diverse soluzioni indirizzate a fare alcune urgenti riforme per tornare
alle urne; o tentare un governo per dare stabilità al Paese, così come altre,
giustamente non soddisfano e trovano resistenze incrociate.
Che sia necessario accettare il “responso elettorale” nella sua più cruda realtà, ci è
chiaro rileggendo il pensiero di Paolo Borsellino quando afferma che
“ il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano e che quella
matita è più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un
coltello”.
L’incisività di questo pensiero è appropriata per dire che i soggetti politici chiamati al
compito di governo sono stati ben indicati dalle urne, e che, piaccia o meno, tutti
debbono fare i conti con le altre realtà e il dovere di ciascuna di esse è quello di
pensare esclusivamente al Paese prima ancora che ai giochi tattici, strategici o di
posizionamento.
L’indicazione di cambiamento uscita dalle urne suggerisce che bisogna più ricercare le
opportunità che esso offre e pensare a salvare un processo che ha bisogno di maturare
per affermarsi, per cui diventa prioritario, prima ancora che tentare sperimentazioni
di governo, che alla fine si riveleranno improduttive come è stato più volte
sperimentato, sapere legare fra loro le questioni fondanti la vita futura del Paese e
lavorare su queste premesse per definire le regole che debbono portare a una nuova
Costituente Repubblicana.
La sfida del prossimo futuro politico non dipende dalle formule che si riuscirà a
trovare, ma dal cambiamento delle coscienze e dalle reali volontà delle diverse realtà
politiche a confronto; tentare di costruire uno scenario futuro migliore non deve
indurre a inclusioni o esclusioni predeterminate, a contrapposizioni, a lacerazioni, ma
deve mirare al superamento delle negatività esistenti portando tutti a una
ragionevolezza di comportamento nell’espletare un ruolo istituzionale assegnato dal
consenso e alla consapevolezza che in una società più giusta e più equa si starà tutti
certamente un po’ meglio.
Per uscire da queste strettoie, bisogna prefigurare un nuovo modello politico futuro
non statico ma dinamico ed evolutivo, non chiuso ma idoneo ad accogliere la pluralità
delle idee e della cultura, stabilendo alla base codici comportamentali che non debbano
però dipendere tanto o solo da norme codificate e impositive, ma da un rigore morale
interiore come scelta di libertà e di verità; inculcare il contrario significa negare
fiducia all’uomo, alla sua intelligenza, alla sua dignità.
La nostra società, già abbastanza umiliata da una lunga gestione privatistica della
politica e dei partiti e fortemente violata nella sua identità di popolo per le grandi
violenze e diseguaglianze a cui è stato sottoposto per il peggioramento, non tanto e non
solo economico, della vita del Paese rispetto al passato, non può più permettersi di
rendere inefficace un accadimento innovativo come questo. Occorre buon senso e
apertura d’animo, che deve indurre tutti i protagonisti diretti di questa competizione
elettorale a fare un passo indietro.
E’ un atto di coraggio che chiede l’Italia a Bersani, a Grillo, a Berlusconi, a Monti. Non
chiede loro di uscire dalla scena politica, se non lo ritengono o altri fattori non lo
impongono, ma di lasciare spazi decisionali ad altri, accompagnando con intelligenza
questo processo e consentendo alla Storia di prender nota per la grandezza del loro
gesto.
Lo chiedono le vostre basi elettorali, le tante donne e i tanti giovani che hanno
ricercato il consenso sulla voglia di cambiamento e non sulle stanche abitudini di
lasciare le cose come stanno, sul bisogno di un riscatto generazionale, sulla volontà di
costruire sulle idee e sui programmi e non sulle logiche di partito o sulle direttive dei
leader. Molti di essi hanno ottenuto fiducia e simpatia utilizzando mezzi semplici,
poggiandosi sul passaparola, prescindendo dai mezzi tradizionali e creando una
efficace connessione tra la piazza e gli strumenti web, ma hanno bisogno di essere
sostenuti per non mancare alla personale responsabilità rispetto a un confronto diretto
e concreto con i problemi della vita e del quotidiano, con i problemi della giustizia e
della legalità, della solidarietà sociale, dell’ambiente e del territorio, del lavoro.
Lo chiedono, con forte interpello, le generazioni future che abbiamo reso povere prima
ancora del nascere.
Ben sappiamo che il percorso di rinnovamento della politica e di risanamento della
società è irto di insidie e sconta il prezzo delle passioni umane, che non tutto ciò che è
emerso dall’esito elettorale sia frutto di discernimento e di maturazione, che non tutti
coloro che si affacciano per la prima volta in Parlamento siano motivati da scelte
consapevoli e gratuite o rappresentino il meglio delle potenzialità e delle competenze
esistenti nella società.
Ma la novità di questa legislatura sta proprio nell’immissione nello scenario politico
di energie giovani e nuove sollecitate da forti idealità che appartengono al sentire
comune; è per questo che essi meritano investimenti di fiducia e, se non altro, perché
rappresentano una realtà che bisogna imparare a conoscere in quanto avrà un ruolo
centrale nella nostra società.
La spinta dal basso nata dal forte bisogno di partecipazione e di democrazia diretta
che ha dato vita a questo cambiamento, se opportunamente valorizzata in questa
legislatura, pur breve che possa essere, potrà arricchire la società di un “umanesimo
nuovo” capace di aprire spazi inimmaginabili di dinamismo e di protagonismo popolare
e segnare la strada per una nuova Costituente.
martedì 5 marzo 2013
Il voto nelle parole profetiche di Paolo Borsellino
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