Un mondo piccolo piccolo
di Fabien Deglise
da ADISTA
Quanto pesano sul Pianeta sette miliardi di abitanti?
Tratto dal quotidiano canadese Le devoir 31 0ttobre 2011. Titolo originale: 7 milliards d'humains: nouveau seuil, graves questions
Secondo i calcoli dell’Onu, oggi l’umanità arriva a una tappa cruciale del suo sviluppo, raggiungendo la cifra simbolica di sette miliardi di esseri umani. Uno shock demografico che...
(...), una volta di più, costringe gli abitanti del pianeta azzurro a interrogarsi sulla intercambialità degli uni con gli altri e soprattutto sulla posta in gioco con cui le masse umane in fase ascendente dovranno fare i conti, per il proseguio delle cose.
La giornata è speciale. Così come l’edizione di oggi di Devoir che ha invitato sette importanti quotidiani dei cinque continenti, a prendere parte a questa riflessione collettiva. Il Daily Nation del Kenya, il Folha de São Paulo del Brasile, L'Orient-Le jour del Libano, Le Soir del Belgio, il China Daily, l’Herald Sun dall’Australia et il Detroit Free Press degli Stati Uniti hanno preso parte a questa avventura, contribuendo con sette voci differenti al dialogo sulle sfide che devono superare i sette miliardi di esseri umani, compreso l’ultimo arrivato che ha cambiato radicalmente il peso dell’umanità in cammino.
Dove ha visto la luce? Probabilmente nella provincia dell’Uttar Pradesh, nel nord dell’India, l’angolo di mondo che registra il maggior numero di nascite al minuto: 51 su un totale di 267 su scala mondiale.
Si tratta senza dubbio di un maschio – statisticamente ne nascono di più. Potrebbe chiamarsi Rajiv, Mangal, Attal o Chandra e, considerato l’ambiente socio-economico che gli ha dato la vita, si prepara a vivere fino a 62,8 anni… a condizione di sfatare le previsioni del momento che gli danno meno possibilità che in Europa o America del Nord di festeggiare il suo quinto compleanno.
Il piccolo ometto sarà anche certamente destrimane, avrà due o tre fratelli e sorelle, genitori che guadagnano 2,03 dollari al giorno e, soprattutto, conferma con forza ciò che i ricercatori constatano dalla metà del secolo scorso: la crescita demografica sulla Terra è un moto accelerato. Nel bene e nel male.
«Questo traguardo è arrivato un più velocemente di quanto previsto», ci dice la demografa Solène Lardoux, professore all’Università di Montréal. «Doveva essere raggiunto in 14 anni, e invece ce ne sono voluti 12». La colpa è del baby boom degli anni 50 e 60 che si è «tradotto in un aumento delle nascite allorché queste generazioni si sono riprodotte», indicava la settimana scorsa il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione nel suo rapporto sullo stato della popolazione mondiale 2011. È colpa anche un po’ del Niger – e dei suoi vicini – dove questo ultimo arrivato avrebbe potuto tranquillamente vedere la luce, in una famiglia numerosa dell’etnia dei Haoussas le cui donne sono le più feconde del mondo con in media 7,19 bambini a testa.
Disparità in evidenza
L’umanità perde il controllo, è sempre più evidente. Ci ha messo 200mila anni per raggiungere il suo primo miliardo, ma ci sono voluti solo 12 anni per passare da sei a sette miliardi. E al ritmo cui vanno le cose, non si dovranno attendere più di 13 anni per sentire i primi vagiti del nato numero 8.000.000.000.
Il ritratto di questa umanità in mutazione non è solo matematico, vi si accompagnano anche le molto maltusiane lamentele circa la capacità del pianeta di prendersi cura di tutte queste bocche da nutrire, questi corpi da ospitare, vestire, questi cervelli da riempire, divertire, ispirare, queste masse da sistemare. E i contorni di tali fondamentali questioni hanno cominciato a delinearsi già un po’ ovunque, mettendo in evidenza disparità, ingiustizie e divisioni che, a medio e lungo termine, saranno sempre più insostenibili.
Le occasioni di tensione sono prevedibili e numerose… nelle città per esempio, dove attualmente vive circa la metà della popolazione mondiale. In soli 35 anni, ci vivranno due persone su tre, principalmente nei Paesi emergenti dove questa umanità urbanizzata contribuirà all’espansione delle città e soprattutto delle bidonvilles già esistenti.
La pressione sul territorio, sulle risorse naturali, sull’energia è allora facile da immaginare. Così come la degradazione dell’ambiente che, in diversi angoli del globo, è già all’origini di molte agitazioni sociali, economiche, politiche, di conflitti armati… E non è che l’inizio.
In 20 anni, le cento città più grandi del mondo hanno visto la loro estensione passare da 187mila ettari a 6,2 milioni di ettari. Ora, in diverse metropoli del continente africano, manca l’acqua corrente tre-quattro giorni a settimana. L’elettricità arriva in maniera discontinua. Sotto gli occhi di una popolazione la cui gioventù rivendicatrice potrebbe non volersi più accontentare.
Un’umanità polarizzata
L’umanità aumenta e aumenta anche la polarizzazione tra il nord che invecchia e rimpicciolisce e il sud in crescita e in rinnovamento. Tra 20 anni, secondo l’Onu, l’Europa non contribuirà che con un 7% al peso totale dell’umanità, mentre nel 1950 lo faceva con un 18% del totale. Stessa cosa per l’America del Nord che da qui al 2033 costituirà meno del 5% dell’umanità – il Québec meno dello 0,1% – contro il 7% della metà del secolo scorso. Al contrario Asia, Africa e Medio Oriente si preparano a ospitare più dei tre quarti dell’umanità.
Le differenze non finiscono qui. Nei Paesi che stanno invecchiando, come il Giappone, l’Italia e la Germania, ogni pensionato può contare oggi su tre persone in attività che gli permettono di arrivare fino in fondo a un’esistenza che si allunga sempre più. Nell’Africa subsahariana così come in Medio Oriente, questa proporzione è per il momento di 25 a uno.
In questo contesto, al Nord, le spese in materia di salute e di sicurezza sociale sono già entrate in un trend di crescita quasi irreversibile. Le carenze di risorse umane per sopperire ai bisogni delle popolazioni anziane sono evidenti, mentre al sud, questa stessa risorsa continua ad essere eccedente, traducendosi in flussi migratori con cui l’umanità dovrà imparare a convivere.
Tre pianeti e dieci miliardi di bocche
Comunque è nelle zone rurali che il peso dell’umanità andrà accentuando la sua pressione. Logico: «Nei prossimi 40 anni – stima il WWF – la terra dovrà produrre tanto nutrimento quanto negli ultimi 8mila anni». «Da oggi alla metà del secolo, se non cambierà niente, saranno necessari tre pianeti per soddisfare i bisogni di tutti».
Peggio, secondo le stime dell’Onu, per rispondere ai bisogni, la produzione agricola dovrà crescere del 70% in 40 anni, del 72% il settore della carne. Quanto alle risorse del mare: già un terzo degli stock è sfruttato a livelli inquietanti. E la crescita demografica nelle zone del globo in cui la tradizione di trarre proteine dal mare è fortemente ancorata fa chiaramente rabbrividire la frangia più pessimista dell’umanità.
I seguaci dell’economista statunitense Julian Simon e i suoi fedeli cornucopiani, non sono in questo gruppo, convinti piuttosto che sotto il peso di sette, otto, dieci o dodici miliardi annunciati da qui alla metà del secolo, l’essere umano farà prova di ingegnosità per rispondere ai suoi bisogni e trovare nuove risorse per permettere di assicurare la sopravvivenza e la crescita della sua specie. Una teoria che i 108 miliardi di esseri umani che sono passati sul pianeta fino ad oggi sembra confermare.
La settimana scorsa, presentando il suo rapporto sullo stato demografico del mondo, Babatunde Osotimehin, direttore esecutivo del Fondo delle Nazioni Unite per le Popolazioni, ha voluto condividere lo stesso ottimismo invitando a modificare gli interrogativi che accompagnano da qualche settimana l’arrivo altamente mediatico del nato numero 7.000.000.000. «Invece di chiederci: "Siamo troppi?", dovremmo chiederci: "Che posso fare per migliorare il nostro mondo?"», ha detto parlando delle ripercussioni future delle scelte individuali e collettive di oggi. Per lui, al di là delle sfide da affrontare, sette miliardi di esseri umani rappresentano prima di tutto sette miliardi di possibilità.
Sia come sia, con sette miliardi, ogni essere umano ha l’impressione di perdersi sempre più nella massa. Ma finalmente, nel momento in cui si regola il contatore, l’essere umano vede il suo peso individuale acquistare importanza per permettere all’umanità di andare avanti.
Secondo i calcoli dell’Onu, oggi l’umanità arriva a una tappa cruciale del suo sviluppo, raggiungendo la cifra simbolica di sette miliardi di esseri umani. Uno shock demografico che...
(...), una volta di più, costringe gli abitanti del pianeta azzurro a interrogarsi sulla intercambialità degli uni con gli altri e soprattutto sulla posta in gioco con cui le masse umane in fase ascendente dovranno fare i conti, per il proseguio delle cose.
La giornata è speciale. Così come l’edizione di oggi di Devoir che ha invitato sette importanti quotidiani dei cinque continenti, a prendere parte a questa riflessione collettiva. Il Daily Nation del Kenya, il Folha de São Paulo del Brasile, L'Orient-Le jour del Libano, Le Soir del Belgio, il China Daily, l’Herald Sun dall’Australia et il Detroit Free Press degli Stati Uniti hanno preso parte a questa avventura, contribuendo con sette voci differenti al dialogo sulle sfide che devono superare i sette miliardi di esseri umani, compreso l’ultimo arrivato che ha cambiato radicalmente il peso dell’umanità in cammino.
Dove ha visto la luce? Probabilmente nella provincia dell’Uttar Pradesh, nel nord dell’India, l’angolo di mondo che registra il maggior numero di nascite al minuto: 51 su un totale di 267 su scala mondiale.
Si tratta senza dubbio di un maschio – statisticamente ne nascono di più. Potrebbe chiamarsi Rajiv, Mangal, Attal o Chandra e, considerato l’ambiente socio-economico che gli ha dato la vita, si prepara a vivere fino a 62,8 anni… a condizione di sfatare le previsioni del momento che gli danno meno possibilità che in Europa o America del Nord di festeggiare il suo quinto compleanno.
Il piccolo ometto sarà anche certamente destrimane, avrà due o tre fratelli e sorelle, genitori che guadagnano 2,03 dollari al giorno e, soprattutto, conferma con forza ciò che i ricercatori constatano dalla metà del secolo scorso: la crescita demografica sulla Terra è un moto accelerato. Nel bene e nel male.
«Questo traguardo è arrivato un più velocemente di quanto previsto», ci dice la demografa Solène Lardoux, professore all’Università di Montréal. «Doveva essere raggiunto in 14 anni, e invece ce ne sono voluti 12». La colpa è del baby boom degli anni 50 e 60 che si è «tradotto in un aumento delle nascite allorché queste generazioni si sono riprodotte», indicava la settimana scorsa il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione nel suo rapporto sullo stato della popolazione mondiale 2011. È colpa anche un po’ del Niger – e dei suoi vicini – dove questo ultimo arrivato avrebbe potuto tranquillamente vedere la luce, in una famiglia numerosa dell’etnia dei Haoussas le cui donne sono le più feconde del mondo con in media 7,19 bambini a testa.
Disparità in evidenza
L’umanità perde il controllo, è sempre più evidente. Ci ha messo 200mila anni per raggiungere il suo primo miliardo, ma ci sono voluti solo 12 anni per passare da sei a sette miliardi. E al ritmo cui vanno le cose, non si dovranno attendere più di 13 anni per sentire i primi vagiti del nato numero 8.000.000.000.
Il ritratto di questa umanità in mutazione non è solo matematico, vi si accompagnano anche le molto maltusiane lamentele circa la capacità del pianeta di prendersi cura di tutte queste bocche da nutrire, questi corpi da ospitare, vestire, questi cervelli da riempire, divertire, ispirare, queste masse da sistemare. E i contorni di tali fondamentali questioni hanno cominciato a delinearsi già un po’ ovunque, mettendo in evidenza disparità, ingiustizie e divisioni che, a medio e lungo termine, saranno sempre più insostenibili.
Le occasioni di tensione sono prevedibili e numerose… nelle città per esempio, dove attualmente vive circa la metà della popolazione mondiale. In soli 35 anni, ci vivranno due persone su tre, principalmente nei Paesi emergenti dove questa umanità urbanizzata contribuirà all’espansione delle città e soprattutto delle bidonvilles già esistenti.
La pressione sul territorio, sulle risorse naturali, sull’energia è allora facile da immaginare. Così come la degradazione dell’ambiente che, in diversi angoli del globo, è già all’origini di molte agitazioni sociali, economiche, politiche, di conflitti armati… E non è che l’inizio.
In 20 anni, le cento città più grandi del mondo hanno visto la loro estensione passare da 187mila ettari a 6,2 milioni di ettari. Ora, in diverse metropoli del continente africano, manca l’acqua corrente tre-quattro giorni a settimana. L’elettricità arriva in maniera discontinua. Sotto gli occhi di una popolazione la cui gioventù rivendicatrice potrebbe non volersi più accontentare.
Un’umanità polarizzata
L’umanità aumenta e aumenta anche la polarizzazione tra il nord che invecchia e rimpicciolisce e il sud in crescita e in rinnovamento. Tra 20 anni, secondo l’Onu, l’Europa non contribuirà che con un 7% al peso totale dell’umanità, mentre nel 1950 lo faceva con un 18% del totale. Stessa cosa per l’America del Nord che da qui al 2033 costituirà meno del 5% dell’umanità – il Québec meno dello 0,1% – contro il 7% della metà del secolo scorso. Al contrario Asia, Africa e Medio Oriente si preparano a ospitare più dei tre quarti dell’umanità.
Le differenze non finiscono qui. Nei Paesi che stanno invecchiando, come il Giappone, l’Italia e la Germania, ogni pensionato può contare oggi su tre persone in attività che gli permettono di arrivare fino in fondo a un’esistenza che si allunga sempre più. Nell’Africa subsahariana così come in Medio Oriente, questa proporzione è per il momento di 25 a uno.
In questo contesto, al Nord, le spese in materia di salute e di sicurezza sociale sono già entrate in un trend di crescita quasi irreversibile. Le carenze di risorse umane per sopperire ai bisogni delle popolazioni anziane sono evidenti, mentre al sud, questa stessa risorsa continua ad essere eccedente, traducendosi in flussi migratori con cui l’umanità dovrà imparare a convivere.
Tre pianeti e dieci miliardi di bocche
Comunque è nelle zone rurali che il peso dell’umanità andrà accentuando la sua pressione. Logico: «Nei prossimi 40 anni – stima il WWF – la terra dovrà produrre tanto nutrimento quanto negli ultimi 8mila anni». «Da oggi alla metà del secolo, se non cambierà niente, saranno necessari tre pianeti per soddisfare i bisogni di tutti».
Peggio, secondo le stime dell’Onu, per rispondere ai bisogni, la produzione agricola dovrà crescere del 70% in 40 anni, del 72% il settore della carne. Quanto alle risorse del mare: già un terzo degli stock è sfruttato a livelli inquietanti. E la crescita demografica nelle zone del globo in cui la tradizione di trarre proteine dal mare è fortemente ancorata fa chiaramente rabbrividire la frangia più pessimista dell’umanità.
I seguaci dell’economista statunitense Julian Simon e i suoi fedeli cornucopiani, non sono in questo gruppo, convinti piuttosto che sotto il peso di sette, otto, dieci o dodici miliardi annunciati da qui alla metà del secolo, l’essere umano farà prova di ingegnosità per rispondere ai suoi bisogni e trovare nuove risorse per permettere di assicurare la sopravvivenza e la crescita della sua specie. Una teoria che i 108 miliardi di esseri umani che sono passati sul pianeta fino ad oggi sembra confermare.
La settimana scorsa, presentando il suo rapporto sullo stato demografico del mondo, Babatunde Osotimehin, direttore esecutivo del Fondo delle Nazioni Unite per le Popolazioni, ha voluto condividere lo stesso ottimismo invitando a modificare gli interrogativi che accompagnano da qualche settimana l’arrivo altamente mediatico del nato numero 7.000.000.000. «Invece di chiederci: "Siamo troppi?", dovremmo chiederci: "Che posso fare per migliorare il nostro mondo?"», ha detto parlando delle ripercussioni future delle scelte individuali e collettive di oggi. Per lui, al di là delle sfide da affrontare, sette miliardi di esseri umani rappresentano prima di tutto sette miliardi di possibilità.
Sia come sia, con sette miliardi, ogni essere umano ha l’impressione di perdersi sempre più nella massa. Ma finalmente, nel momento in cui si regola il contatore, l’essere umano vede il suo peso individuale acquistare importanza per permettere all’umanità di andare avanti.
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