COSTITUZIONE, CONCILIO, CITTADINANZA:
NASCE LA RETE DEI CATTOLICI DEMOCRATICI
36410. ROMA-ADISTA. Dispersi, sparpagliati in decine di piccole associazioni diffuse sul territorio, per qualcuno ormai irrilevanti, superati dalla storia e schiacciati da una politica sempre più personalizzata e ridotta a spettacolo e a mercato. Eppure i cattolici democratici ci sono, riaffermano...
(...) la loro identità sostanzialmente diversa da quella dei clerico-moderati – per utilizzare il lessico e le definizioni di don Sturzo –, rivendicano non solo la loro «ricca tradizione culturale, politica ed ecclesiale», ma anche «idee e valori» che ritengono ancora utili per l’Italia di oggi e di domani e, soprattutto, si uniscono in una Rete che intende, senza trasformarsi in partito e tantomeno in “corrente” del Partito Democratico, intervenire nel dibattito e partecipare alla vita politica del Paese, finalmente liberatosi – perlomeno così sembra – da una «grave deriva populistica» che lo affliggeva da quasi un ventennio.
L’assemblea che ha sancito la nascita della Rete, dando vita al coordinamento nazionale che la farà camminare e allargare – si augurano i promotori – avviando il suo nuovo strumento di comunicazione (il sito internet http://www.c3dem.it/, dove le “3c” stanno per Costituzione, Concilio e cittadinanza), si è svolta lo scorso 19-20 novembre alla Domus pacis di Roma, storica residenza dell’Azione Cattolica, con la partecipazione di un’ampia rappresentanza delle associazioni che formano il mosaico del cattolicesimo democratico italiano (fra le altre Agire politicamente, Argomenti 2000, Città dell’uomo, Cristiano sociali, Rosa bianca).
Un progetto di ampio respiro, sebbene dai contorni piuttosti vaghi, per collaborare a «ricostruire la democrazia» a partire dalla «rifondazione della politica», spiega Guido Formigoni, già presidente di Città dell’uomo, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano. Senza chiudersi in recinti – «non vorremmo che si ripetessero gli equivoci consueti, che sono sempre dietro l’angolo: i soliti reduci della sinistra democristiana, i cattocomunisti, le anime belle dell’utopia», precisa Formigoni – e senza nostalgie del passato, né ammiccamenti alle associazioni cattoliche riunitesi a Todi insieme al card. Angelo Bagnasco (v. Adista nn. 76, 78, 79, 82, 83 e 84/11) o al centro-destra post-berlusconiano: «L’insistenza recente su una nuova stagione di impegno politico dei cattolici, ha in sé virtualità ricche, ma è ancora irrisolta tra protagonismo associativo e laicale e una malcelata tutela gerarchica», aggiunge. «Si accavallano progetti e istanze diverse, in un gioco ancora piuttosto confuso: dalle velleità di costruire una nuova formazione cattolica da lanciare in politica (il neo-ministro Ornaghi ha parlato recentemente di una “identità guelfa”), fino all’idea ambiziosa di poter raccogliere l’eredità del centro-destra post-berlusconiano nella forma della cosiddetta sezione italiana del Ppe». L’aspirazione è invece a «rivitalizzare un’area democratica e di sinistra» portando il contributo specifico dei cattolici-democratici: «Un forte sentire ecclesiale vissuto nella laicità e nella libertà, cosciente dell’eccedenza della fede cristiana e della sua irriducibilità a religione politica o civile» e « una scelta politica per l’uguaglianza, la pace e la giustizia, innervata da un senso acuto delle mediazioni e della “giustizia possibile” da realizzare nella storia» – tema rilanciato a gran voce anche da Lino Prenna, coordinatore nazionale di Agire politicamente –, ben distante quindi dalla irriducibilità dei “valori non negoziabili” dettati dalle gerarchie ecclesiastiche, con il solo scopo – aggiunge il senatore del Pd Stefano Ceccanti – di poter dire che «la Chiesa italiana è equidistante dimostrando che in realtà è più vicina al centro-destra».
Formigoni elenca alcune delle «condizioni di possibilità per poter sostenere questo ruolo»: l’ancoraggio alla Parola, ben più dirimente e dirompente del magistero o della Dottrina sociale della Chiesa; una «severa lettura del passato» (ovvero la lunga stagione della Democrazia cristiana) e «un’autocritica rispetto alle fragilità e alle inadempienze dei successivi venti’anni» (ovvero il berlusconismo); la costruzione di luoghi dove poter «pensare politicamente», come diceva Giuseppe Lazzati, dove «i pilastri di ieri si sviluppino nei progetti per il domani» e dove si possa «prendere di petto le questioni di cosa sia il riformismo e di cosa voglia dire essere di centro-sinistra»; una «partecipazione convinta e solidale alla vita delle comunità cristiane», rivendicando però la piena e totale autonomia dei laici, continuamente sotto attacco dai detrattori del Concilio – chiosa la teologa Marinella Perroni – che hanno ben capito che «la laicità mette in discussione la cattedrale della verità cattolica».
E Michele Nicoletti, docente di Filosofia politica all’Università di Trento, riflette sul “che fare”, riprendendo in parte alcuni spunti di Formigoni: lavorare sul piano della cultura politica democratica, senza però arretrare rispetto al bipolarismo e alla democrazia dell’alternanza, un arretramento che, inevitabilmente, favorirebbe posizioni di rendita al centro e tentazioni terzopoliste: «Non siamo disponibili per il progetto, per vari aspetti politicamente e pastoralmente regressivo, di una eventuale “cosa bianca”», ribadisce Formigoni.
L’esito dovrà essere la politica, non il volontariato, aggiunge Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia politica all’università Gregoriana: per sconfiggere quella «tentazione di anti-Stato che spesso serpeggia nel mondo del volontariato che talvolta concepisce la solidarietà come “opera”, travestendo il profit da non profit», e perché solo con la politica si può tentare di realizzare l’articolo 3 della Costituzione che vuole la «rimozione degli ostacoli che limitano l’eguaglianza e la partecipazione dei cittadini». (luca kocci)
(...) la loro identità sostanzialmente diversa da quella dei clerico-moderati – per utilizzare il lessico e le definizioni di don Sturzo –, rivendicano non solo la loro «ricca tradizione culturale, politica ed ecclesiale», ma anche «idee e valori» che ritengono ancora utili per l’Italia di oggi e di domani e, soprattutto, si uniscono in una Rete che intende, senza trasformarsi in partito e tantomeno in “corrente” del Partito Democratico, intervenire nel dibattito e partecipare alla vita politica del Paese, finalmente liberatosi – perlomeno così sembra – da una «grave deriva populistica» che lo affliggeva da quasi un ventennio.
L’assemblea che ha sancito la nascita della Rete, dando vita al coordinamento nazionale che la farà camminare e allargare – si augurano i promotori – avviando il suo nuovo strumento di comunicazione (il sito internet http://www.c3dem.it/, dove le “3c” stanno per Costituzione, Concilio e cittadinanza), si è svolta lo scorso 19-20 novembre alla Domus pacis di Roma, storica residenza dell’Azione Cattolica, con la partecipazione di un’ampia rappresentanza delle associazioni che formano il mosaico del cattolicesimo democratico italiano (fra le altre Agire politicamente, Argomenti 2000, Città dell’uomo, Cristiano sociali, Rosa bianca).
Un progetto di ampio respiro, sebbene dai contorni piuttosti vaghi, per collaborare a «ricostruire la democrazia» a partire dalla «rifondazione della politica», spiega Guido Formigoni, già presidente di Città dell’uomo, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano. Senza chiudersi in recinti – «non vorremmo che si ripetessero gli equivoci consueti, che sono sempre dietro l’angolo: i soliti reduci della sinistra democristiana, i cattocomunisti, le anime belle dell’utopia», precisa Formigoni – e senza nostalgie del passato, né ammiccamenti alle associazioni cattoliche riunitesi a Todi insieme al card. Angelo Bagnasco (v. Adista nn. 76, 78, 79, 82, 83 e 84/11) o al centro-destra post-berlusconiano: «L’insistenza recente su una nuova stagione di impegno politico dei cattolici, ha in sé virtualità ricche, ma è ancora irrisolta tra protagonismo associativo e laicale e una malcelata tutela gerarchica», aggiunge. «Si accavallano progetti e istanze diverse, in un gioco ancora piuttosto confuso: dalle velleità di costruire una nuova formazione cattolica da lanciare in politica (il neo-ministro Ornaghi ha parlato recentemente di una “identità guelfa”), fino all’idea ambiziosa di poter raccogliere l’eredità del centro-destra post-berlusconiano nella forma della cosiddetta sezione italiana del Ppe». L’aspirazione è invece a «rivitalizzare un’area democratica e di sinistra» portando il contributo specifico dei cattolici-democratici: «Un forte sentire ecclesiale vissuto nella laicità e nella libertà, cosciente dell’eccedenza della fede cristiana e della sua irriducibilità a religione politica o civile» e « una scelta politica per l’uguaglianza, la pace e la giustizia, innervata da un senso acuto delle mediazioni e della “giustizia possibile” da realizzare nella storia» – tema rilanciato a gran voce anche da Lino Prenna, coordinatore nazionale di Agire politicamente –, ben distante quindi dalla irriducibilità dei “valori non negoziabili” dettati dalle gerarchie ecclesiastiche, con il solo scopo – aggiunge il senatore del Pd Stefano Ceccanti – di poter dire che «la Chiesa italiana è equidistante dimostrando che in realtà è più vicina al centro-destra».
Formigoni elenca alcune delle «condizioni di possibilità per poter sostenere questo ruolo»: l’ancoraggio alla Parola, ben più dirimente e dirompente del magistero o della Dottrina sociale della Chiesa; una «severa lettura del passato» (ovvero la lunga stagione della Democrazia cristiana) e «un’autocritica rispetto alle fragilità e alle inadempienze dei successivi venti’anni» (ovvero il berlusconismo); la costruzione di luoghi dove poter «pensare politicamente», come diceva Giuseppe Lazzati, dove «i pilastri di ieri si sviluppino nei progetti per il domani» e dove si possa «prendere di petto le questioni di cosa sia il riformismo e di cosa voglia dire essere di centro-sinistra»; una «partecipazione convinta e solidale alla vita delle comunità cristiane», rivendicando però la piena e totale autonomia dei laici, continuamente sotto attacco dai detrattori del Concilio – chiosa la teologa Marinella Perroni – che hanno ben capito che «la laicità mette in discussione la cattedrale della verità cattolica».
E Michele Nicoletti, docente di Filosofia politica all’Università di Trento, riflette sul “che fare”, riprendendo in parte alcuni spunti di Formigoni: lavorare sul piano della cultura politica democratica, senza però arretrare rispetto al bipolarismo e alla democrazia dell’alternanza, un arretramento che, inevitabilmente, favorirebbe posizioni di rendita al centro e tentazioni terzopoliste: «Non siamo disponibili per il progetto, per vari aspetti politicamente e pastoralmente regressivo, di una eventuale “cosa bianca”», ribadisce Formigoni.
L’esito dovrà essere la politica, non il volontariato, aggiunge Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia politica all’università Gregoriana: per sconfiggere quella «tentazione di anti-Stato che spesso serpeggia nel mondo del volontariato che talvolta concepisce la solidarietà come “opera”, travestendo il profit da non profit», e perché solo con la politica si può tentare di realizzare l’articolo 3 della Costituzione che vuole la «rimozione degli ostacoli che limitano l’eguaglianza e la partecipazione dei cittadini». (luca kocci)
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